Il carro trionfale della Madonna della Bruna, dove viene costruito, come è fatto, la sua storia di oltre tre secoli, l’ultimo realizzato ed il suo significato per i materani.
La fabbrica del carro
La distruzione annuale del carro trionfale la sera del 2 luglio implica la necessità della sua ricostruzione per l’edizione successiva della festa. Attualmente esso viene realizzato in prossimità della chiesa parrocchiale del rione Piccianello, in fondo al Recinto G. Marconi. Ma anche in passato il lungo lavoro di allestimento del manufatto avveniva in quella zona: in epoca più antica, quando non lo si distruggeva, esso veniva custodito sotto una tettoia ubicata alla località “San Pardo”, nei pressi della demolita chiesa dedicata a san Lazzaro; il luogo, che corrisponde a quello ubicato alle spalle dell’attuale fabbrica del carro, fu poi occupato dal macello comunale; attualmente, invece, corrisponde al mercato ortofrutticolo. Ebbene, a metà ’700, per proteggere meglio la struttura del carro, fu costruito un ricovero con muri a secco; si trattava comunque di una struttura precaria ed esposta ai rigori del periodo invernale, proprio quando gli artigiani erano al lavoro per i ritocchi o la ricostruzione del nuovo carro; perciò, quando nel 1870 fu edificata la chiesa dell’Annunziata, lì accanto fu realizzato un lamione-laboratorio utilizzato, però, fino al 1957, poiché quell’anno sia la chiesa, danneggiata da un fulmine, sia l’adiacente locale per il carro, furono demoliti. Su quella stessa area fu costruita la nuova ampia chiesa parrocchiale, più idonea all’esercizio del culto in un quartiere ormai diventato popolato.
Di conseguenza, per la costruzione del carro trionfale fu adoperato un locale piccolo e carente di servizi preesistente all’attuale fabbrica del carro; locale che, demolito nel 2016, fu velocemente ricostruito più ampio e più confortevole, almeno nella sua parte centrale, per consentire la realizzazione del manufatto a partire già dall’edizione 2017; gli ambienti adiacenti, però, sono tuttora allo stato grezzo ed attendono di essere ultimati.
Un carro barocco di cartapesta
Il carro trionfale della Madonna della Bruna è allestito su un’ossatura permanente in legno, avente al centro una base piatta in ferro ed alle estremità una torretta anteriore ed una posteriore; appare, pertanto, come un antico galeone; esso, infatti, essendo del tipo orizzontale “a vascello”, somiglia appunto ad un natante. All’interno della torretta posteriore cava si trova un ascensore manuale a cremagliera, che consente di elevare o di abbassare la pedana sulla quale viene fissata l’immagine sacra, in modo da poter consentire il transito sotto la porta di Suso e così accedere a Piazza Duomo; per questo esso è lungo e stretto. Ciò nonostante le sue dimensioni sono considerevoli, essendo lungo 12 m, largo circa 2,70 m e, con la spalliera del trono tutta alzata, alto oltre 4 m. Nello spazio piatto centrale tra le due torri trova spazio la scena principale del tema assegnato annualmente dal vescovo della diocesi.
Introdotto alla fine del Seicento, il carro conserva tuttora uno stile marcatamente barocco, facilitato dal materiale usato, cioè la cartapesta, con cui vengono plasmate non solo le sculture a tutto tondo dei personaggi della scena centrale, che illustra il tema assegnato, ma anche tutti gli altri elementi decorativi, tra i quali non mancano mai numerosi angeli, vasi di fiori, colombe, volute tortuose agli spigoli delle torrette ed il rostro proteso sulla facciata anteriore, affiancato spesso da due grandiosi cherubini.
L’assegnazione del compito di ricostruire il carro trionfale avviene con apposito bando, per partecipare al quale i concorrenti dipingono un bozzetto, ispirato al tema assegnato per quell’edizione, accompagnato da una relazione esplicativa e spesso anche dai disegni delle parti più significative. Il vincitore del bando procede poi alla realizzazione dell’opera, la quale richiede un lavoro continuo di quasi sei mesi, che deve concludersi necessariamente prima del 23 giugno, poiché questo è il giorno di inizio della novena preparatoria alla festa ed anche quello a partire dal quale è consentito ai cittadini di visitare la fabbrica per ammirare la rinnovata macchina del trionfo preparata per la Madonna della Bruna.
I tre secoli di storia del carro trionfale
Il primo carro della Bruna risale al 1690, costruito dal falegname Leonardo Traietto e decorato dal sacerdote don Leonardo Angelino; sicuramente di fattura molto semplice, esso fu utilizzato anche negli anni seguenti, fino al 1696. Il secondo carro fu realizzato, infatti, nell’anno seguente, 1697, grazie all’impegno di spesa deciso dai canonici della cattedrale su sollecito del Procuratore maggiore della Bruna, concordando che occorreva preparare “detta festa meglio dell’anno passato”. Questa espressione pare sia stata quella che ha dato vita al detto augurale pronunciato dai materani a fine festa: “A mogghj a mogghj aquonn c vahn!” (“Di meglio in meglio l’anno prossimo”). Quell’anno, in effetti, fu creato da Giovan Donato Bonfiglio un carro più ricco del precedente, rivestito con tele dipinte, appositamente tessute per quello scopo.
Durante il Settecento il carro trionfale non sempre veniva distrutto, ma si interveniva nella riparazione della struttura (che subiva danni procedendo sui percorsi sconnessi di allora) e nei ritocchi della sua parte ornamentale fatta con carta dipinta. Già da allora, e fino a data recente, sono state alcune famiglie di artigiani locali a realizzare il manufatto, trasmettendo nell’ambito della parentela tecniche e stili. È il caso dei componenti della famiglia Conversi, il primo dei quali a cimentarsi pare sia stato Giovanni Battista nel 1702; anche il suo primogenito, don Domenico Conversi, sacerdote, assunse tale compito dal 1731 al 1733. Ma la figura di maggiore spicco fu il secondogenito, Vito Antonio, autore, tra le tante altre, delle grandi tele della chiesa del Purgatorio, della chiesa di San Giuseppe e di quelle di San Domenico; egli, salvo un’interruzione di due anni, costruì/ritoccò il carro della Bruna dal 1742 al 1755. Deceduto Vito Antonio, tale compito dal 1757 al 1766 passò al fratello Giuseppe Nicola.
Dal 1726 al 1730 e dal 1734 al 1741 l’incarico fu assegnato a Niccolò Domenico Buonsanti. A partire poi dal 1777 e, salvo eccezioni, fino al 1866 (quindi per circa 80 anni), il carro fu costruito dai membri della famiglia Bonamassa, soprattutto da Nunzio senior, coadiuvato dal falegname Carlo Fontana; alla sua morte (1812), fu Nazario Cuscianna a prepararlo. Nel 1813 Francesco Antonio Guarini realizzò un carro più sontuoso e più grande del solito, tanto che si dovettero assottigliare i lati della Porta de Suso per poterlo fare arrivare fino in piazza Duomo; il notevole impegno di spesa indusse a utilizzare sempre quello stesso carro per il decennio successivo. Dal 1824 al 1856 il compito viene assunto di nuovo dai Bonamassa e cioè dal nipote di Nunzio senior, suo omonimo, dunque Nunzio junior, figlio del fratello Giuseppe. Nunzio junior a sua volta fu spesso collaborato dal proprio figlio, pure di nome Giuseppe, che poi opererà da solo dal 1860 al 1867.
Intanto si era andata consolidando la tradizione di distruggere il carro a fine festa.
Le prime foto dei carri appaiono nell’ultimo quarto dell’Ottocento e sono quelli dei D’Antona, che ne curarono l’allestimento forse dal 1876 fino al 1930, alternandosi con altri (Tommaso Gravela, Tommaso Pansi, Giuseppe Quarto, Michele Amoroso, Raffaele Pentasuglia). Francesco Saverio D’Antona (1851-1916) fu apprezzato ritrattista ed esecutore di opere a soggetto sacro, tra cui il grande quadro raffigurante i Santi Medici nella chiesa di San Giovanni Battista. Il figlio Annibale costruì il suo primo carro nel 1893, poi nel 1921 e nel 1922 ed infine dal 1926 al 1930.
Dal 1923 al 1925 realizzò i sui primi carri Raffaele Pentasuglia senior e poi quasi di continuo dal 1931 fino alla sua morte (1951). Proseguirono la sua opera i figli di suo fratello Michelangelo, Francesco Paolo e Raffaele junior, collaborando insieme già a partire dal 1947. Di certo i carri trionfali di questi ultimi, in deciso stile barocco, sono stati fonte di ispirazione per i successivi artigiani che hanno avuto tale incarico. Francesco Paolo, però, già nel 1934 e nel 1937 aveva dato prova delle sue abilità con i primi due suoi lavori; l’ultimo fu, invece, quello del 1985. Rimane nella memoria collettiva l’empietà compiuta nel 1974 da malviventi, quando il carro costruito dai fratelli Pentasuglia fu assaltato e distrutto anzitempo in Piazza San Francesco d’Assisi, e ciò mentre era ancora su di esso l’immagine della Madonna della Bruna: per protesta vennero spente tutte le luminarie.
Altro notissimo costruttore di carri della Bruna della famiglia Pentasuglia è stato Michelangelo, figlio di Francesco Paolo. Dopo aver collaborato col padre per molti anni, assunse tale compito a partire dal 1996 e, spesso alternandosi con altri, ha costruito il suo ultimo manufatto di cartapesta nel 2016. I suoi modelli erano palesemente i carri del padre Francesco Paolo e dello zio Raffaele, ai quali si ispirava per l’architettura, per le parti scultoree e per la concezione cromatica. Suo è l’unico carro non distrutto della storia, eseguito con la collaborazione di Francesco e Giuseppe Mitarotonda, quello, così detto, “dell’Unità d’Italia”, in quanto ideato e realizzato nel 2011 per essere esposto a Torino in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Il primo carro di Michelangelo del 1996 è ricordato in particolare per essere stato oggetto di un grave fatto doloso: fu incendiato all’interno della fabbrica pochissimi giorni prima della festa della Bruna, ma, lavorando giorno e notte, esso fu riparato alla meglio e, arricchito con pezzi dei carri delle edizioni precedenti, sfilò ugualmente come sempre tra la folla portando in trionfo la Madonna della Bruna.
Vito Domenico Epifania e il più giovane fratello Raffaele costruirono insieme i carri trionfali dal 1960 al 1965 e poi ancora nel 1973. Raffaele ha poi operato dal 1975 al 1994 da solo oppure insieme a Michele Castello o ad Antonio Venezia; con quest’ultimo fece quello del 1989, che celebrò il VI centenario dell’estensione alla Chiesa universale della festa della Visitazione, a cui si ricollega la festa della Bruna; a partire da quella data, peraltro, per decisione dell’arcivescovo Ennio Appignanesi, il tema dell’opera da realizzare è assegnato annualmente dal capo della diocesi; fino ad allora, invece, esso era lasciato alla libera scelta dell’artigiano ideatore e costruttore.
Protagonista indiscusso della famiglia Nicoletti, invece, fu Francesco Paolo, avviato in quell’arte dal padre Pasquale (senior), con cui operò già nel 1946. Dopo una lunga pausa, durante la quale ebbero l’incarico i fratelli Pentasuglia e i fratelli Epifania, egli ideò e costruì il carro insieme al figlio Pasquale (junior) nel 1986 e nel 1987, poi dal 1990 al 1993 e, infine, alternandosi con Michelangelo Pentasuglia, dal 1995 al 2008.
Negli ultimi anni sono emersi nuovi giovani artigiani che hanno dimostrato grande abilità nel perpetuare l’arte del carro trionfale materano: sono loro che – fatta eccezione dell’ultimo lavoro del veterano Michelangelo Pentasuglia (2016) – dal 2012 ad oggi si sono cimentati in quell’arduo compito. Nel 2012, infatti, sono stati Mario, Carmine, Valerio e Marco Daddiego a preparare un manufatto di particolare eleganza e raffinatezza con la tecnica della cartapesta veneziana. Dal 2013 al 2015, e poi nel 2017, è stato invece Andrea Sansone a presentare opere innovate nella concezione architettonica e soprattutto cromatica, anzi assegnando al tradizionale stile barocco una vistosa maestosità. Nel 2018 e nel 2019, poi, sono stati gli ultimi rampolli dei Pentasuglia, Raffaele (il 3° con questo nome), sua sorella Claudia e il papà Michele (figlio di Raffaele junior) a realizzare carri di fattura più semplice, ma molto accurati, specialmente nella parte scultorea e scenografica, rifacendosi ad opere di artisti del Rinascimento e del Barocco. Il loro carro del 2019 è passato alla storia, sia per essere stato quello dell’anno in cui Matera è stata capitale europea della cultura e sia perché è stato l’ultimo che abbia sfilato il 2 luglio sotto le luminarie, prima che la pandemia da Covid-19 fermasse la plurisecolare festa tradizionale della Bruna.
Il carro post-pandemia attende di portare in trionfo la Protettrice di Matera
Solo le vicende storiche negative arrestano il cammino del carro trionfale. Nel 1867, a causa della scarsità dei mezzi finanziari, la festa della Bruna non si tenne il 2 luglio, ma venne celebrata il 19 settembre successivo, insieme a quella del patrono sant’Eustachio. Durante i due conflitti mondiali del secolo scorso, poi, non si svolse alcuna manifestazione esterna, e in quegli anni la Madonna della Bruna fu onorata solo con riti religiosi; così è accaduto anche nel 2020 e nel 2021.
Vincitore del bando per la costruzione del carro dell’edizione 2020 era stato un altro giovane, Eustachio Santochirico, ma la pandemia ha lasciato la sua opera, di fatto completa, in giacenza all’interno della sua “fabbrica” al rione Piccianello.
L’opera di Santochirico appare maestosa nella sua architettura decisamente barocca, nel suo fresco cromatismo e nella ricchezza degli elementi scultorei e pittorici. Il tema fu dettato da una ricorrenza importantissima: il 750° anniversario dell’ultimazione della basilica-cattedrale di Matera (1270). Il tema, traendo spunto dall’episodio del Vangelo di Luca (19, 1-10) che narra dell’avido pubblicano Zaccheo, è così formulato: «‘Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua’ – La cattedrale casa di Dio tra le case degli uomini». In particolare, l’evangelista Luca narra che Gesù, diretto a Gerusalemme, giunge a Gerico e, appena si diffonde la voce del suo arrivo, la folla gli si accalca intorno. Un uomo basso di statura, riccamente vestito, cerca di farsi largo per vederlo, ma invano; e allora corre avanti, si arrampica su un sicomoro e aspetta che passi di lì. Arrivato ai piedi dell’albero, Gesù alza lo sguardo e gli dice: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Zaccheo era un esattore delle tasse per conto dei Romani ed era diventato ricco derubando ai poveri; ciò nonostante subì il fascino della trascendenza e, quando Gesù lo chiamò per nome, lo stravolse nel profondo e poi riempì persino la casa del pubblicano con la Sua presenza, trasformandola in un tempio. Ebbene è proprio questo aspetto che unisce le due parti del tema del carro della Bruna 2020: la casa di Dio tra le case della città. La Casa madre di Matera, proprio perché considerata dai materani Casa propria, da 750 anni ad oggi è stata oggetto delle loro attenzioni, come e più delle singole case, con interventi eseguiti, sia all’esterno che soprattutto all’interno, seguendo gli stili e i gusti susseguitisi nei secoli. Alcuni di essi si sono felicemente armonizzati, altri, invece, hanno del tutto cancellato l’originario splendore che la caratterizzava nel 1270 quando era una “domus spectamine leta”, cioè “bella a vedersi”, come attesta una lapide collocata sulla porta di accesso al campanile. Purtroppo i rimaneggiamenti, specialmente quelli operati nel Settecento e nell’Ottocento, hanno creato una stridente disarmonia tra lo sfarzoso interno diventato barocco e l’austero elegante romanico esterno. Ma, ad indurre i materani ad operare cambiamenti così invasivi non è stato un capriccio, bensì il desiderio di rendere la loro Casa madre sempre più bella, secondo il gusto estetico del loro momento storico; di conseguenza, tutto ciò è, piuttosto, lodevole segno d’affezione per la cattedrale.
I materani e lo “ strazzo” del carro della Bruna
I materani hanno avuto da sempre un rapporto molto particolare con la loro Protettrice, confidenzialmente chiamata “la Bruna” e, di conseguenza, con il suo carro; un rapporto caratterizzato da amore intenso, passionale, istintivo, conservato nel loro DNA culturale trasferito di padre in figlio; cosicché la festa della Bruna suscita in essi dinamiche psicologiche motivazionali collettive che travolgono tutti, dai più giovani ai più anziani, e contagiano anche chi materano non è.
Quelle emozioni antiche diventano parossismo quando la sera la Madonna è esaltata su una costruzione mobile di cartapesta, esuberante di colori e forme barocche e, ancor più, quando è assaltata e distrutta. Un’usanza che appare folle: un lavoro costoso ed accurato, durato più di cinque mesi, è disfatto in cinque minuti. Eppure, lo “strazzo” è un atto sacro, poiché è la messa in scena simbolica dell’esistenza che si rinnova costantemente nutrendosi dell’energia nascosta in ciò che viene distrutto: gli agenti chimici non fanno altrettanto quando aggrediscono e disfano il seme nella terra perché diventi nuova pianta? È evidente, allora, che con lo smembramento del carro trionfale riappaiono riti davvero remotissimi che avevano al centro la consumazione di pasti sacri con pezzi dell’animale-simbolo del dio che si dona sotto forma di cibo per consentire all’anima di nutrirsi del soprannaturale.
L’aspetto peculiare della fugacità che caratterizza il manufatto di cartapesta materano, ogni anno distrutto e ricostruito, però, è di fatto apparente, perché i pezzi dei carri distrutti vengono poi esposti nei luoghi in cui i materani vivono e lavorano, attribuendo loro non tanto il valore del ricordo di un’edizione della festa, quanto il significato ottimistico, in ogni pezzo conservato, di rigenerazione dell’esistenza, che per il materano equivale a certezza della rinascita.
Testi di Franco Moliterni